Felice Gimondi

Felice Gimondi

Felice Gimondi

 

La risposta italiana al Cannibale

Sedrina, val Brembana, 29 settembre 1942. Le ombre nere della guerra sconvolgono la quiete delle Prealpi bergamasche, ma Mosè Gimondi attende con trepidazione una grande gioia: sua moglie Domenica Angela sta per dare alla luce un bambino. Le doglie rompono l’angoscia del conflitto e aprono la strada alla vita: il vagito che squarcia le paure del papà grida una speranza di pace e un desiderio di felicità. Angela e Mosè intuiscono questo messaggio e percepiscono la bellezza che il loro fanciullo ha regalato alla piccola comunità del paese: quando il sacerdote e il podestà li invitano a imporre un nome al fiore dei loro occhi, non hanno alcun dubbio. Si chiamerà Felice poiché il destino e i suoi talenti gli riserveranno una vita piena di gioie: il conflitto finirà e il bambino crescerà nell’atmosfera pacata della Lombardia paesana.

Avrà la semplicità concreta di suo padre e l’energia vibrante di sua madre: coltiverà le sue passioni con la serietà profonda delle genti della sua terra. Felice e i suoi cari superano il turbine di piombo che sconvolge l’Italia e plasmano la rinascita del Dopoguerra. Angela diventa uno dei punti di riferimento della sua comunità: consegna la posta a tutte le famiglie, tesse relazioni, trasmette passione. Il piccolo Felice rimane folgorato dal suo approccio e dallo scintillio di luci che i raggi della sua bicicletta proiettano lungo le strade: la gioiosa armonia dei pedali lo affascina. Quando monta in sella, si innamora delle carezze del vento e della dolcezza dei panorami che si spalancano davanti ai suoi occhi: respira, pensa, sogna.

Comincia a lavorare come fattorino e sente che il suo futuro si allontana dai banchi di scuola: al chiuso delle aule preferisce le consegne poiché adora le vibrazioni del suo manubrio. Sa che l’Unione Sportiva Sedrianese concede ad alcuni ragazzi del paese la possibilità di trasformare l’amore per la bicicletta in una passione sportiva: Felice Gimondi non si lascia sfuggire la prima occasione e comincia a mostrare il suo talento.

I tecnici lo portano in Francia, lui li ripaga con un successo prestigioso: il Tour de l’Avenir 1964, il miglior biglietto da visita per il professionismo. Luciano Pezzi capisce che quel placido ventiduenne vive per correre e respira per vincere: è perfetto per la sua Salvarani. Si fida del suo istinto ciclistico e gli offre un contratto, poi gli chiede di accompagnare Vittorio Adorni nella sua avventura francese: un gregario giovane e motivato fa sempre comodo nella lunga galoppata transalpina. Un ragazzo che ha già sollevato un trofeo è un grande lusso, quando il suo capitano abbandona la gara: il ritiro di Adorni libera Gimondi e lo proietta verso i piani alti della classifica.

Felice si veste di giallo e porta il simbolo del primato fino a Parigi: a 23 anni ha vinto il secondo Tour consecutivo, ma questo conta molto di più. È la prima perla della tripla corona, che splende sul suo capo dal 1968: le maglie più prestigiose delle tre grandi corse a tappe nazionali sono già nel suo armadio. Ha solo 26 anni ed è già uno dei corridori più vincenti della straordinaria storia del ciclismo italiano.

L'eterna rivalità con Eddy Merckx

L’eterna rivalità con Eddy Merckx

 

Sarebbe Felice di nome e di fatto se non fosse disturbato da un paio di problemi piuttosto spinosi: il primo caso di presunta positività a un controllo antidoping e l’ascesa irresistibile di un Cannibale. Le noie con la giustizia sportiva svaniscono insieme alle polemiche poiché Felice chiarisce con successo la sua posizione, ma il problema-Merckx sembra insolubile: Eddy è un tornado che sconvolge il ciclismo con la sua smodata fame di vittorie. Vuole prendersi tutto, ma è un uomo di sport: conosce l’importanza del rispetto e non sconfina nella slealtà. Non regala nulla a nessuno, ma questa ferocia è la scintilla che lo rende grande: Gimondi subisce il suo impatto, ma lo stima poiché sa che la sua grandezza rende onore al ciclismo.

Capisce che un duello così difficile può rafforzare la sua personalità di campione; accetta la sfida del belga e dà vita a una strana rivalità. Quando Eddy viene fermato poiché la caffeina carica troppo il suo sangue, Felice sorprende tutti: anche se ha vinto il Giro, non indossa la maglia rosa poiché ricorda lo sconforto che lui stesso ha provato pochi mesi prima. Merckx apprezza e gli apre le porte della sua amicizia: i due continuano a dominare gli ordini d’arrivo, ma la stampa italiana accusa Gimondi di essere l’eterno secondo poiché il belga non smette mai di vincere.

Felice sorride e sfodera il suo palmarés con la signorile furia ciclistica che ha sempre pervaso le sue pedalate: tre Giri, un Tour, una Vuelta, due Lombardia, una Roubaix, una Sanremo e la sua perla più bella, una gemma incastonata sulla collina di Montjuic. Il Mondiale del 1973, il manifesto ideologico della sua vita sportiva: una volata rabbiosa, uno scatto che asciuga le gambe del Cannibale e ha spento le speranze del suo fido Maertens. Un’iride che corona il sogno di un bambino che è cresciuto fra le carezze delle valli alpine e che è diventato un ciclista forte e fiero. Un uomo Felice.

Daniel Degli Esposti
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