Ribot

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Storia di un campione invincibile

Ogni allevatore di cavalli ha un sogno nel cassetto. Il sogno è quello di creare il campione. Non che i sogni si avverino spesso, ma a Federico Tesio, talvolta, succedeva. Gli era già successo nel 1935 con Nearco, gli successe di nuovo il 27 febbraio 1952, quando nella campagna inglese attorno a Newmarket vide la luce un puledrino piuttosto sgraziato, cui fu imposto un nome che sarebbe diventato quello del Cavallo del Secolo. Ribot.

All’origine di quella nascita c’era un fugace incontro tra la fattrice Romanella, cavalla istintiva e molto nervosa, vincitrice del Criterium Nazionale all’età di due anni, e il grandissimo, ma più pacifico, Tenerani, nel cui palmarès figurano, tra gli altri, il Derby Italiano, il Gran Premio di Milano, il St. Leger italiano, la Goodwood Cup e le Queen Elizabeth Stakes.

L’intuizione di Federico Tesio

Tesio, creatore della razza Dormello Olgiata, intuì presto le immense qualità del puledro e, dopo la doma, lo condusse sulla pista d’allenamento. Le premesse non parvero particolarmente incoraggianti. Gli addetti dovettero accorciare il sottopancia del cavallino di venti centimetri rispetto allo standard, e il peso dei due compagni di quel primo allenamento, pur suoi coetanei, risultò di sette chili superiore. I sorrisetti di intesa e compatimento durarono però meno di dieci minuti: il tempo necessario a Ribot per scendere in pista, partire e lasciare a decine di metri i due malcapitati rivali. Almeno per chi ebbe la fortuna di essere presente, quel giorno nacque ufficialmente il mito Ribot.

Purtroppo, pur consentendogli di aver ragione sui molti scettici, il destino negò a Federico Tesio la gioia di vedere in azione il suo fuoriclasse. Il più grande allevatore italiano morì infatti il primo maggio 1954, poche settimane prima del debutto ufficiale. Il cavallo era ormai divenuto proprietà del marchese Mario Incisa della Rocchetta, quando il 4 luglio 1954 gareggiò e vinse nel Premio Tramuschio, sui mille metri. Fu l’inizio di una serie di facili vittorie sui cavalli della stessa età, con l’unica eccezione del Gran Criterium, in cui il mitico fantino Enrico Camici sottovalutò la pesantezza del terreno e tardò a sollecitare Ribot, consentendo così a Gail di insidiarne per qualche secondo il trionfo.

Con l’allenamento e le gare, il torace del puledro si era gradualmente sviluppato sino ad assumere una capacità mai vista. Fu addirittura necessaria la costruzione di una sella apposita, con misure adeguate di sottopancia. Vederlo correre era uno spettacolo, anche se un incidente di preparazione aveva compromesso l’armonia della falcata che risultava, per certi versi, sbilanciata.

Le piste meno importanti divennero ben presto troppo limitative per l’immensa classe di Ribot. Purtroppo il cavallo non poté gareggiare nel Derby Italiano. Infatti, pur di discendenza, proprietà e allevamento italiani, Ribot era di nascita inglese. La madre Romanella, per giunta, durante la gravidanza non era stata iscritta all’importante corsa, cosa che avrebbe permesso un’eccezione al regolamento.

La stagione 1955 dovette così necessariamente puntare a un solo, grande obiettivo: il parigino Prix de l’Arc de Triomphe, la più prestigiosa corsa d’Europa. Non fu un’impresa facile convincere il promettentissimo campione a salire sull’aereo. La situazione, che minacciava di passare dal divertente all’irrisolvibile, fu salvata dal positivo esempio di un altro puledro, Magistris, che divenne da quel momento suo inseparabile compagno. Magistris, esso stesso corridore di buon livello, non lasciò – se non per periodi molto brevi (vissuti piuttosto male da Ribot) – il più famoso amico, condividendone box e allenamenti e fungendo spesso da suo battistrada in gara.

Enrico Camici in sella a Ribot

Enrico Camici in sella a Ribot

 

Comunque fosse, Ribot arrivò all’Arc senza essere considerato tra i possibili vincenti. Alla partenza, l’8 ottobre 1955, erano schierati i migliori campioni europei, tutti più anziani ed esperti. Tanto per farsi un’idea, i bookmaker davano il figlio di Tenerani dieci a uno, non immaginando che, per loro, quella del Prix si sarebbe rivelata una serata da dimenticare.

Ribot partì piuttosto coperto, ostacolato per di più sino ai mille metri da un cavallo scosso, Hidalgo II. Pure, al termine del miglio e mezzo, le lunghezze che separavano il fuoriclasse della Dormello Olgiata dal secondo arrivato, Beau Prince II, erano ben tre. Una superiorità senza precedenti.

Considerato ormai il più forte cavallo europeo, Ribot concluse la stagione vincendo con disarmante facilità le corse seguenti. Il 1956 si aprì con la vittoria nel Gran Premio di Milano (otto lunghezze al secondo, il fratellastro Tissot!), ma il primo importantissimo appuntamento fu quello del King George VI and Queen Elizabeth Stakes ad Ascot. Sulla pista allagata, di fronte alla Regina e a centomila spettatori, Ribot sembrò in difficoltà e High Veldt, di proprietà di Elisabetta II, era ancora in testa a duecento metri dal traguardo. Al palo, il cavallo dell’Olgiata lo precedette di cinque lunghezze. Con sportività tutta inglese, la Regina accettò senza scomporsi la sconfitta, dichiarando: «It is exciting to see a good horse winning. Ribot greatly amazed me».

Un distacco clamoroso

Purtroppo la breve carriera del purosangue volgeva ormai al termine e solo dopo molti ripensamenti fu deciso di fargli nuovamente correre l’Arc de Triomphe. Stavolta Ribot si presentò da favorito, nonostante la presenza dei diciannove migliori cavalli del pianeta, il lotto di partenti più agguerrito di sempre. Al solito, il Re parve lasciare spazio ai rivali, in particolare agli americani Fisherman e Career Boy. A mille metri dall’arrivo, Ribot operò un’accelerazione micidiale, tra le ovazioni dei centoventimila presenti: all’arrivo, il primo dei battuti, Talgo, risultò distaccato di sei lunghezze ufficiali, che le fotografie dimostrarono essere in realtà otto.

Dopo di allora il cavallo del secolo si avviò rapidamente ad una tranquilla vita da riproduttore, non senza regalare ai suoi ormai sterminati fans ancora un paio di emozioni. A San Siro, ottenuta la sua sedicesima e ultima vittoria, si esibì in quattrocento tiratissimi metri supplementari, effettuati forzando la mano al suo amico di sempre, il grande Enrico Camici. Lo stesso Enrico che, al termine della passerella di addio di Ribot, alle Capannelle di Roma, finì disarcionato per la prima volta, quasi che il Re volesse concludere con un gesto simbolico una carriera inimitabile.

Non era però la fine di una leggenda. Il purosangue dell’Olgiata si dimostrò a sua volta un ottimo riproduttore, tanto che due dei suoi figli, Molvedo e Prince Royal, in seguito vinsero a loro volta l’Arc. Del resto, numerosi discendenti di Ribot calcano tuttora, spesso vittoriosamente, le piste di tutto il mondo.
Il cavallo del secolo morì alla venerabile età di venti anni, il 28 aprile del 1972, per emorragia interna.

Danilo Francescano
© Riproduzione Riservata

 

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